Dal 1968, anno di uscita del primo album dei Jethro Tull, This Was, a oggi, sono passati esattamente cinquant'anni. Un lasso di tempo importante che impone perlomeno un brindisi per quella che è stata a tutti gli effetti una delle più importanti band nella storia della musica rock. Gli Undertull, eccellente tribute band romana, non si sono fatti scappare l'opportunità e in questi mesi hanno portato in tour uno spettacolo incentrato sul primo decennio di vita della formazione di Ian Anderson, quello che comprende il materiale migliore. Il tour si concluderà domenica 9 dicembre sul palco del Kill Joy, con un concerto che si preannuncia pirotecnico: di questo e altro abbiamo parlato con il tastierista della band, Gianluca De Rossi.
E' incredibile come la scena Progressive Rock degli anni 70 sia piena di grandi band: Jethro Tull, Yes, Genesis, ELP, King Crimson, Van der Graaf Generator, Gentle Giant... secondo te cosa avevano in più i Tull rispetto agli altri illustri colleghi?Innanzitutto i Jethro Tull non si possono considerare come una Prog Rock Band in assoluto; certo, se ascolti Thick As a Brick e A Passion Play, pubblicati non a caso nel 1972/1973, il biennio magico del Progressive, sono due album che propongono soluzioni e linguaggi inconfutabilmente progressive, come stacchi, cambi di tempo, tempi dispari e assoli dei vari strumenti all’interno di due lunghe suite, che ricoprono interamente la durata di 40 minuti degli LP dell’epoca. Agli esordi, invece, in This Was del 1968, i Jethro Tull erano molto influenzati dal blues. Poi, con il secondo album Stand Up del 1969, hanno ricercato dei linguaggi nuovi, più personali, spaziando tra il blues, il jazz, l’indie e l’hard rock, che ha trovato la sua massima espressione in Aqualung del 1971, un album molto influenzato dal sound dei Led Zeppelin, ma anche, per metà, acustico. Dopo l’arrivo dell’uragano del punk, i Jethro Tull sono stati tra i pochi a salvarsi, attaccandosi alle loro radici più forti e profonde, quelle del folk rock inglese, di cui hanno realizzato una trilogia capolavoro nel triennio 1977-1979. Il tutto, comunque, sempre rigorosamente proposto in una chiave personalissima, anche grazie all’uso del flauto come strumento rock, nonché all’ineguagliabile presenza scenica del leader Ian Anderson, una vera e propria icona di quegli anni.
Cosa ne pensi della band con cui Ian Anderson sta portando avanti il percorso dei Jethro Tull e del tour per il cinquantennale del gruppo?
Mi dispiace rispondere in maniera così drastica, ma purtroppo penso che Ian Anderson avrebbe fatto meglio a ritirarsi già da diverso tempo: la voce è stentata e perennemente in sofferenza, nonostante i brani vengano eseguiti diversi toni più in basso; le movenze sono ormai quelle di una persona anziana; i dischi nuovi sono la riproposizione stucchevole di soluzioni clonate all’infinito e anche lo spettacolo che propongono dal vivo è semplicemente indecoroso rispetto alla grandezza del passato. Tutto questo, lo dico in tutta sincerità, mi fa veramente male.
Quando hai scoperto la musica dei Jethro Tull?
A 11 anni, grazie a Fabio, un amico più grande di me di due anni che mi registrava delle cassette. Andavo alle medie e mentre tutti i miei compagni erano presi dalla disputa tra Duran Duran e Spandau Ballet, io ascoltavo Songs From The Wood! Quello è stato anche il primo LP che ho comprato in vita mia e, di conseguenza, è tuttora il mio album preferito dei Jethro Tull.
Quali sono i tuoi cinque brani preferiti dei Jethro Tull e perché?
1. Songs from the Wood: è il mio brano preferito dei Jethro Tull, il paradigma del prog folk; inizia con un coro da montanari per poi evolversi, in una girandola di stacchi e cambi di tempo, in una frenetica cavalcata folk-rock, fino a ritornare all’inizio e a parte dell’evoluzione successiva, il tutto in soli 5 minuti… Un capolavoro!
2. Witch’s Promise: l’atmosfera sognante dell’inizio, in una giostra di flauti sovraincisi, sembra portarti in un bosco fatato, dove incontri una bellissima strega che ti ammalia con le sue bugie. Nel finale, poi, sono gli archi del mellotron a cullarti in ¾ nell’illusione di quell’incontro magico. E’ un brano che ancora non abbiamo riproposto con gli Undertull, mi piacerebbe davvero farlo, prima o poi.
3. Flying Dutchman: c’è una soave tristezza in questo pezzo, in cui il testo e la musica rendono al meglio il messaggio ecologista di Stormwatch, un album per me inspiegabilmente sottovalutato ed invece uno dei miei preferiti. John Evan, poi, suona da par suo, regalandoci l’ennesima prova del suo magistrale tocco pianistico.
4. Ring Out Solstice Bells: è il brano che mi fa rivivere più di ogni altro l’atmosfera natalizia, così cara ai Jethro Tull, anche se quella del solstizio era in realtà una festa pagana. Da notare ancora, in un passaggio di poche note, la maestria di John Evan al piano. Dopo tanti anni che l’ascolto, il crescendo finale con i campanelli, le campane tubulari, i battiti delle mani e i colpi di rullante di Barriemore Barlowe mi mettono ancora i brividi…
5. And the Mouse Police Never Sleeps: sarà che anch’io, come Ian Anderson, amo i gatti, con le loro movenze sinuose e la grandezza insita nella loro natura felina che li rende delle vere tigri in miniatura; il ritmo nervoso del brano riproduce in musica la loro frenetica caccia notturna, per questo la polizia-topo non dorme mai… Davvero pregevole, poi, il duetto contrappuntato tra l’organo Hammond di John Evan e quello portativo a canne di David Palmer intorno alla metà del brano.
Ormai sono tanti anni che fai parte degli Undertull: raccontami qualche episodio che ti sta particolarmente a cuore legato ai concerti e alla vita con la band...
Negli Undertull hanno militato sempre delle bellissime persone, appassionate e volitive, cosa che capita sempre più raramente nell’ambiente musicale, per cui sono davvero contento di farne di nuovo parte, dopo una breve parentesi. Un’esperienza davvero divertente e stimolante fu il raduno a Senigallia, nelle Marche, nel luglio del 2011, che riproponeva, in 4 giorni di concerti, il Festival di Woodstock. Durante la prima serata, insieme ad altre tribute band di gruppi del periodo, come Jefferson Airplane, Who e Led Zeppelin, dividemmo il palco con Leon Hendrix, il fratello di Jimi. Dopo il concerto, passammo tutti insieme la notte in un agriturismo del posto, serviti e riveriti come delle vere rockstar!
Quale strumentazione utilizzi dal vivo?
Con l’avanzare dell’età, non solo per la saggezza acquisita, ma anche per tutti gli acciacchi che la vecchiaia comporta, sto riducendo la mia strumentazione al minimo indispensabile: monto lo stage piano Yamaha CP4 per i suoni di pianoforte e altri suoni orchestrali, come archi, glockenspiel, organo a canne etc., sormontato da un Nord Electro 5D, per i suoni delle tastiere vintage come Hammond, Mellotron e i violini sintetici dell’Elka Rhapsody 610, tanto cari a David Palmer.
Domenica 9 dicembre al Kill Joy Undertull in concerto: vuoi inviare un messaggio a tutti gli amici del Kill Joy per presentare l'evento?
A partire dal 2019 abbiamo in cantiere l’idea del 50° anniversario di Stand Up, da riproporre in tutta la sua interezza, per cui la serata del 9 dicembre al Kill Joy è l’ultima in cui proponiamo la scaletta del 50° anniversario della band, quella che comprende almeno un brano per ogni disco pubblicato dal 1968 al 1978, da This Was a Bursting Out: non potete mancare!